Rete
Si dice che in Africa i tramonti siano più belli e che il sole assomigli a una gigantesca arancia rossa. Si dice che le stelle sembrino più numerose e che la terra non abbia confini.
Si dice che in Africa faccia caldo dappertutto…
Ecco, su quest’ultima affermazione avrei qualcosa da ridire, ma per il resto sembra che la gente abbia ragione.
Il Saint Joseph Hospital del piccolo villaggio di Ikelu si trova su un grande altipiano a sud -ovest della Tanzania, a circa 1800 metri sul livello del mare nella regione di Njombe, a quasi metà strada tra questa città e quella di Makambako.
Le stagioni si alternano tra quella secca, più fredda, da Aprile a Novembre circa, e quella della piogge durante gli altri sei mesi dell’anno. Mentre in Italia comincia l’estate qui arriva il freddo ed è ormai quasi indispensabile dormire con il piumone… o con almeno tre coperte!
Il piccolo, grande, ospedale di Ikelu, gestito dalle suore Benedettine autoctone, è stato inaugurato nel 2011 grazie all’aiuto dell’associazione per la quale lavoro ovvero Pamoya Onlus, del Rotary Club di Lovere Iseo Breno distretto 2050 e di Sicomoro Onlus.
Ora, dopo circa 7 anni dalla sua nascita, l’ospedale offre circa 120 posti letto suddivisi tra il reparto della maternità, il più grande, nel quale è presente anche una stanza riscaldata per i neonati prematuri; la pediatria, il reparto di chirurgia e medicina maschile e femminile e la piccola stanza dell’ICU (Intensive Care Unit), una sorta di terapia intensiva. Inoltre sono presenti due sale operatorie tra cui una dedicata anche all’ortopedia, il laboratorio, uno studio dentistico, il CTC (Centro di trattamento e controllo per la tubercolosi e l’HIV/AIDS, purtroppo molto diffusi) ,una stanza per le piccole operazioni chirurgiche, l’OPD (Out Patient Door, ovvero pronto soccorso/accettazione e ambulatorio), la sala raggi ed ecografica.
L’ospedale di Ikelu è un piccolo mondo nel mezzo della natura africana.
Storie di uomini si intrecciano, ognuna con il proprio passato, la propria sofferenza, il proprio peso ma ognuna con la stessa speranza: la vita.
Ho visto la vita nascere e venire al mondo con la sua forza inspiegabile e ho visto la vita spegnersi a poco a poco. E, mai come in questi mesi, questo filo tra vita e morte, paura e speranza, gioia e dolore, è stato così tangibile.
Come quel giorno, qualche settimana fa…Quella notte era venuta al mondo Elisabeth i cui genitori lavorano in ospedale e di cui, proprio per questo, attendavamo con impazienza la nascita. La gioia sui loro volti, quella gioia calma e serena, regnava nella loro stanza quella mattina.
Pochi minuti più tardi, percorrendo il corridoio dell’ospedale che collega la maternità al reparto di medicina e chirurgia, vado a vedere come sta Benedetta in ICU.
Busso alla porta ed entro. Non vedo nessuno se non un paravento posizionato davanti al letto. Benedetta spunta.
- E’ appena morta una paziente. L’abbiamo massaggiata finora…
Le coprono il volto con il lenzuolo bianco del letto e stiamo in silenzio.
… o come quel filo che lega le nostre vite e le nostre storie, anche solo per un breve periodo e non importa da che paese vieni, che lingua parli, che colore della pelle hai.
Quel filo che lega la gioia di vedere un ragazzino che fa i primi passi dopo un lungo ricovero in seguito a un trauma cranico quando pochi giorni prima muoveva solo gli occhi con il dolore di vedere una bimba diabetica abbandonata in ospedale. Ma poi quella gioia che ,anche se ha radici nel dolore, nasce dalle cure delle suore per questa bimba.
O quel filo che lega la gioia di una mamma, del papà e della nonna che ti vengono incontro per ringraziarti per aver aiutato la loro bimba a venire al mondo, al dolore di chi decide che bisogna tornare a casa, nonostante le cure non siano ancora finite, perché non può permettersi di sostenere le spese del ricovero.
O quello stesso filo che lega gli occhi che brillano quando viene proposto un sostegno per un progetto all’impotenza davanti a chi decide di lasciare che le cose vadano per la propria strada e che la malattia vinca senza opporsi.
Ed è anche quel filo che lega le vite, i sogni e i progetti non solo in ospedale.
Ed è questo filo che sta formando, dentro e fuori di me, una rete sempre più forte e che, come sperimento ogni giorno, è straordinaria oltre che indispensabile. E all’interno di questa rete, dove gli aiuti e i doni vengono offerti in abbondanza, anche quando meno ce li si aspetta, mi rendo conto ogni giorno di più che, sebbene sia qui da soli quattro mesi, le persone a cui offrire il mio “grazie” sarebbero tantissime.
Vorrei concludere questo post con uno scritto di Benedetta, compagna di viaggio e di avventura (nonché correttrice di bozze),pubblicato l’altro giorno.
Tanzania day 120
In un pranzo un po' movimentato ho visto bambini in cerca di caramelle, tè e arance stupirsi del suono del caffè che si fa pronto nella moka. In un primo pomeriggio di puzzle, foto, cartoni e colori ho capito che basta un attimo per entrare in sintonia quando si trova la felicità in certi occhi. In un cumulo di vestiti provenienti dall'Italia ho visto due occhi pieni di gioia e stupore ricevere qualche maglietta come premio per tanto impegno e tanta umiltà. Ho visto il sole andare a dormire e due amiche e compagne di viaggio stupirsi ancora, come sempre, davanti a certi colori. Ho visto due uccelli volare fianco a fianco nel cielo e ho capito che posso fidarmi e che basta metterci un po' d'amore ogni giorno e crederci insieme. E poi ho visto meravigliosi colleghi giocare e divertirsi insieme. Li ho sentiti pronunciare il nostro nome e li ho scoperti ridere, non di noi, ma con noi. E quella felicità che ho visto nei loro occhi appena prima di voltarmi l'ho trovata dentro me.
Tutaonana!
Grace, me, Naomi e Rebecca |
Video musicale del coro di Ilunda |
Saint Joseph Hospital, Ikelu |
L'ospedale al tramonto... e il campo da pallavolo! |
Neema Craft https://www.neemacrafts.com |
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